Elezioni Basilicata 2019, ecco come votano i lucani




Domenica 24 marzo, i cittadini della Basilicata sono chiamati a scegliere il nuovo presidente della Regione ed il nuovo Consiglio regionale. La tornata arriva dopo una lunga serie di polemiche, connesse soprattutto alla legge elettorale e alla scelta della data. Come da nostra consuetudine, cominciamo il viaggio nella regione al voto offrendo una panoramica della tornata regionale, sulla scorta di dati elettorali e della letteratura in materia. Ci affideremo, in questo caso, sia ai risultati elettorali, oggi contenuti nell’archivio storico delle elezioni del Ministero dell’Interno, così come ai lavori promossi dall’Istituto Cattaneo. La base di partenza sarà sempre la stessa: il 1995, ossia la prima tornata elettorale in cui il presidente venne eletto direttamente dai cittadini. 

Cominciamo dalla prima domanda di routine: qual è il colore politico della Basilicata? Cerchiamo di capirlo prendendo in considerazione due aspetti principali. Il primo riguarda la continuità amministrativa. Il secondo concerne, invece, più direttamente i risultati elettorali.

➧ Il colore politico della Basilicata

Per valutare la continuità dei governi lucani dal 1995 ad oggi, abbiamo preparato la timeline che segue:

1995 - 2000 2000 - 2005
2005 - 2010
2010 - 2013 2013 - 2019
Raffaele Dinardo Filippo Bubbico Vito De Filippo Vito De Filippo Marcello Pittella

Come suggeriscono i colori delle singole celle, la regione è governata ininterrottamente da diciannove anni dal Centro-sinistra in tutte le sue declinazioni ufficiali. Nel 1995, l’accordo tra Progressisti e Popolari – che portò fuori dalla coalizione Rifondazione Comunista – fu alla base della vittoria di Angelo Raffaele Dinardo

Dinardo rimase presidente sino al 2000, quando l’Ulivo (che questa volta riuscì a coinvolgere anche Rifondazione Comunista) propose il DS Filippo Bubbico. Bubbico, a sua volta, restò in carica cinque anni, non ricandidandosi alle elezioni regionali del 2005.

In sua sostituzione, L’Unione scelse il vicepresidente uscente Vito De Filippo, il quale riuscì ad imporsi con una maggioranza bulgara (67,0%). Nonostante le crisi di giunta, De Filippo riuscì ad arrivare a scadenza naturale del mandato, ripresentandosi per la seconda volta nel 2010. Rispetto alla tornata elettorale precedente, questa volta, il governatore uscente venne appoggiato anche dall’Unione di Centro. Il risultato fu un nuovo plebiscito: De Filippo ottenne poco più del 61% dei consensi ai danni dell’ex parlamentare e sindaco di Melfi, Nicola Pagliuca, il quale subì la concorrenza di Magdi Allam. La legislatura, tuttavia, non durò a lungo, perché nel 2013, alcune inchieste giudiziarie su rimborsi illeciti coinvolsero direttamente alcuni assessori, consiglieri regionali e lo stesso De Filippo. Il quale scelse la strada delle dimissioni e, di lì a poco, lasciò la politica locale per quella nazionale.

Nell’estate 2013 si aprì, dunque, la strada verso le prime elezioni anticipate nella storia della regione che, comunque, videro il centrosinistra trionfare con quaranta punti di scarto sul centrodestra. A diventare nuovo governatore fu Marcello Pittella, già vicepresidente della Regione, vincitore delle primarie di centrosinistra. Come il suo predecessore, anche Pittella venne toccato dalle inchieste giudiziarie: il governatore venne arrestato a luglio 2018 nel contesto dello scandalo della Sanitopoli lucana. Gli arresti domiciliari vennero revocati a settembre 2018, così come venne tolto il divieto di dimora a Potenza a gennaio 2019. A seguito di queste vicende giudiziarie, Pittella decise di non prendere parte alle elezioni.

Abbiamo, dunque, chiarito che nonostante le vicende alterne, durante la Seconda Repubblica, la Basilicata ha costantemente premiato il centrosinistra. Passiamo, ora, a capire che tipo di competizione ha avuto luogo nella regione in questi venti anni. In tal senso abbiamo raccolto i dati elettorali per comune dal 1995 ad oggi sui voti validi e su quelli raccolti dalle due principali coalizioni. Abbiamo fatto una media, i cui risultati sono esplicati nella tabella che segue.

Coalizione Voti %
Media Centro-sinistra   201 555   61,18%
Media Centro-destra   99 605   30,24%
Media voti validi  329 419

I dati parlano chiaro: la Basilicata è caratterizzata da un sistema chiuso, in cui non c’è spazio per alcun tipo di competizione tra i due poli. Dimostrazione di ciò viene data dall'immagine riportata qui sotto. Essa indica il candidato maggioritario per circoscrizione in ciascuna delle cinque tornate elettorali che hanno interessato la regione.



Non si può fare a meno di notare che in qualsiasi circostanza, il centrosinistra prevalga agevolmente, superando la maggioranza assoluta dei voti. Risulta un po’ difficile determinare la provincia che fa da traino per la vittoria dei progressisti. Nel 1995, 2005 e 2013, infatti, i candidati presidenti del centrosinistra ottengono il loro maggior risultato in provincia di Potenza. Nelle restanti due tornate – 2000 e 2010 – vanno più forti a Matera. 

Il centrosinistra è, dunque, ampiamente maggioritario in tutta la regione, al punto di arrivare a doppiare il centrodestra. Si ricava questa impressione dall’infografica che segue, nella quale si sono rielaborate le medie comunali di centrosinistra e centrodestra nelle cinque elezioni regionali occorse dal 1995 ad oggi.


Come si può notare, il consenso progressista è granitico: su 131 enti in cui è divisa la Lucania, solamente in 2 – Melfi e Nova Siri – il centrodestra ha preso più voti in media del centrosinistra. In più, è sotto gli occhi di tutti su come una buona fetta di enti, rappresentanti con la tonalità di arancione più chiara, vedano i progressisti prevalere anche se con percentuali inferiori rispetto alla media regionale del 61,18%.

➧ Predominio rosso: subcultura politica territoriale o caso eccezionale?

La continuità amministrativa del centrosinistra, così come la mancanza di una competizione elettorale rendono la Basilicata molto simile alle regioni dell’Italia centro-settentrionale. Parliamo di Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche, ossia delle regioni in cui, storicamente, si era insediata la subcultura politica territoriale rossa.

Vale, dunque, la pena chiedersi se la Lucania rappresenti a tutti gli effetti una subcultura politica territoriale, o sia solo un caso isolato ed eccezionale nel panorama dell’Italia meridionale. 

Nel caso della Zona rossa, attori politici privilegiati di questi territori sono stati sin dai tempi della Prima repubblica i partiti di sinistra. Il Partito Comunista Italiano innanzitutto, i suoi successori in un secondo momento. A queste zone è associato quello che Arturo Parisi e Gianfranco Pasquino classificano come voto di appartenenza. Ossia un voto in cui l’elettore identifica organicamente un partito con il proprio gruppo sociale di appartenenza, andando, dunque, oltre la semplice rappresentanza istituzionale.

Nel caso del Sud, invece, la letteratura ha registrato una maggiore volatilità durante la Seconda repubblica, oltre che ad una maggiore propensione di voto verso la Democrazia Cristiana nella prima. Al meridione, la letteratura della scienza politica associa quello che Parisi e Pasquino definivano come voto di scambio. Ossia un metodo di scelta fondato su base particolaristica e del conseguimento di un interesse immediato. Come si colloca, dunque, la Basilicata in tutto questo scenario?

Cominciamo a chiedercelo comparando l’affluenza di Basilicata, Zona Rossa e delle altre tre regioni – Campania, Puglia e Calabria - dell’Italia meridionale.


Come mostrato dal grafico, possiamo notare che in tutti e tre i casi, la partecipazione stia calando inesorabilmente, in linea con quanto rilevato anche nel resto d’Italia.

Tuttavia, le tre aree mostrano comportamenti sostanzialmente differenti. Nella Zona Rossa, infatti, si assiste, nell’ultima tornata elettorale, ad un calo della partecipazione molto più forte (circa 20 punti) di quello che si registra nel Sud (circa 12 punti in meno). Addirittura, si capovolgono i rapporti, con le quattro zone dell’Italia centro-settentrionale che presentano tassi di astensione più alti di quelli cui si assiste nel meridione. 

In tutto questo, la Basilicata assume una posizione mediana: pur mostrando una linea di tendenza molto simile a quella della Zona Rossa – con  livelli di partecipazione più alti dell’intero Sud fino al 2010 e un calo più netto nel 2013 – la regione mostra una affluenza più vicina a quella dell’Italia meridionale. In cui è storicamente assodato che la partecipazione aumenta man mano che la tornata elettorale diventa locale. Ma non solo. 

C’è chi, come il professor Roberto De Luca, in una sua indagine per l’Istituto Cattaneo sulle elezioni regionali del 2010, avanza l’ipotesi che la diminuzione più contenuta in Lucania in quel frangente fosse sostanzialmente legata all'uso del voto di preferenza.

Questa idea ci permette, quindi, di entrare più nel vivo del cuore della questione, passando ad un altro livello. Vale la pena testare quanto il voto lucano sia condizionato dalla personalizzazione della competizione da parte dei candidati, del presidente e quanto dal ruolo egemonico del principale partito della coalizione di centrosinistra.

Partiamo, quindi, dal fattore “candidato presidente”, che si lega maggiormente all'opzione che Pasquino e Parisi definivano come voto d’opinione. In questo senso, sulla scelta elettorale pesavano maggiormente l’opinione dei candidati e la piattaforma programmatica da loro proposta. 

Questa volta, quindi, è necessario fare un discorso più generale, dividendo il Paese in alcune macroaree: il Nord (Piemonte, Lombardia, Liguria e Veneto), Zona Rossa (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche), Centro (Lazio, Abruzzo e Molise), Sud (Campania, Puglia e Calabria). Per difformità dei sistemi elettorali, dall'analisi sono state escluse le cinque regioni a Statuto speciale. 

I risultati sono riportati nel grafico che segue, in cui si considerano quanto contano in percentuale i voti al solo candidato presidente sui voti complessivi da esso raccolti.


Come si può notare, valori maggiori sono tipici dell’Italia Centrale e Settentrionale, mentre sono più contenuti proprio nella Zona Rossa e nel Sud del Paese. Dove, per l’appunto, la letteratura descrive comportamenti di voto differenti da quello d’opinione.

La Basilicata non fa eccezione né al Sud né alla Zona Rossa. Anzi, i valori sono i più bassi mai riscontrati, anche se si registra una tendenza alla crescita negli ultimi anni. Per di più, non trova supporto l’idea consolidata per cui la personalizzazione favorisca maggiormente il centrosinistra.


1995  2000  2005  2010  2013 
Diff. Voti ass.  491    15 741   100   13 695  315 
Diff. in %   4,23  6,57  1,70  6,74 ⬇ 3,15

Come mostra la tabella, infatti, solo Dinardo e Pittella prendono più voti della coalizione, mentre Bubbico e De Filippo arrivano a perdere anche più di 10mila voti rispetto alle liste che li sostenevano.

Assodato, dunque, che il voto d’opinione trova poco spazio in Basilicata, passiamo a testare il legame tra i comportamenti elettorali con il voto d’appartenenza, più tipico della Zona Rossa. In questo senso, si dovrebbe ipotizzare una egemonia incontrastata del partito che fa da referente in questa subcultura. Ovvero il PDS/DS/PD. Testeremo il voto d’appartenenza verso il principale epigono del PCI nello scacchiere politico, comparando i risultati raccolti in Basilicata con quelli ottenuti nelle singole regioni della Zona Rossa. Ne valuteremo sia il peso complessivo sui voti validi, sia quello rivestito all'interno della coalizione di centrosinistra. La figura riporta in maniera sintetica i risultati.

Voti al principale partito post comunista nella zona Rossa e in Basilicata
Come si può notare, nelle quattro regioni rosse, PDS e successori conquistano una fetta ingente dell’elettorato. In rapporto ai voti totali, si va da un minimo di 30-35% del 2000 ad un massimo del 40-45% del 2005 dove, ad onor del vero, troviamo però in lista anche esponenti della Margherita. Il PDS/DS/PD, invece, costituisce il vero e proprio polo di riferimento anche all'interno della coalizione di centrosinistra. Anche in questo caso, si passa da un minimo del 53-55% registrato in Umbria e Marche nel 2000 ad un massimo del 96%, rilevato alle ultime regionali della Toscana.

In Basilicata, invece, il Partito Democratico della Sinistra e i suoi successori non riescono ad eguagliare punte di consenso così significative. In termini di voti validi totali spazia dal 17,42% - sufficiente comunque per essere primo partito della regione – del 2000 al 38,65% del 2005. All'interno della coalizione di centrosinistra, invece, PDS ed epigoni rappresentano al massimo 4 votanti su 10. Un po’ poco per parlare di senso di appartenenza alla tradizione post-comunista.

Bisogna, però, ricordare che, non tanto differentemente dalle altre regioni del Sud, anche in Basilicata il principale referente politico della prima Repubblica è stata la Democrazia Cristiana. Che, dunque, sia l’appartenenza alla tradizione popolare a fare da catalizzatore nel voto di questa regione?

Consideriamo, dunque, i consensi andati agli eredi della Democrazia Cristiana che si sono presentati.



Come dimostra la figura, in realtà, anche nel caso degli eredi della DC risulta un po’ difficile parlare di subcultura. Eccezione fatta per le regionali del 2000, quando i partiti che si rifanno allo Scudo crociato rappresentano circa il 40% dei voti validi, nelle altre tornate essi coprono poco meno di 3 elettori su 10.

Si tratta, comunque, di un consenso ingente, che ha sicuramente pesato nei risultati elettorali. Vediamo, dunque, quale delle due principali coalizioni ne ha beneficiato maggiormente. Lo chiariamo con l’immagine che segue.


In pratica, è il centrosinistra a beneficiare dell’ingresso in coalizione degli ex partiti DC. Ciò avviene in maniera significativa nel 1995 e nel 2000, quando le formazioni di area popolare raccolgono rispettivamente il 21,2% il 32,4% dei consensi, contribuendo ampiamente al bacino elettorale di Angelo Dinardo e Filippo Bubbico.

Quanto dimostrato fin ciò è sufficiente per dimostrare che è difficile riuscire ad applicare alla Basilicata tanto il concetto di subcultura politica territoriale quanto quello di voto d’appartenenza. Piuttosto, si può affermare che ancora permane un effetto Democrazia Cristiana che ha agevolato la corsa dei candidati di centrosinistra più di quanto sia accaduto in altre regioni. Ma nulla di più.

Non resta, quindi, che trovare una conferma nell'ipotesi per cui la stabilità governativa della Lucania non sia altro che una eccezione nel panorama ben più frammentato del Sud. Consideriamo, quindi, i fattori che portano si riconducono a ciò che Parisi e Pasquino intendono quando parlano di voto di scambio. Come già affermato in precedenza, il consenso, in questa circostanza, viene espresso in funzione di un interesse particolare e immediato. Secondo anche gli studi americani di civic culture, il più importante fattore che si lega al voto di scambio è il tasso di preferenza. Più basso e moderato nelle regioni del nord, ben più alto in quelle del sud.

Rifacendoci ai dati pubblicati dall'Istituto Cattaneo per il Quaderno elettorale della Regione Abruzzo del 2014, per la Basilicata troviamo i seguenti valori.

Tratto dal Quaderno elettorale della Regione Abruzzo
Come mostra la tabella, la Basilicata è la regione con il tasso di preferenza più alto nelle elezioni del 2000, essendo seconda al solo Molise per il resto delle tornate. I candidati rivestono, quindi, un ruolo fondamentale nella costruzione del consenso sul territorio lucano, favorendo la partecipazione dei cittadini. E nel centrosinistra questa caratteristica è sicuramente più accentuata.

A questa conclusione era arrivato anche il professor Roberto De Luca nella sua analisi sulle elezioni lucane del 2010. De Luca sottolinea, infatti, come la campagna elettorale sia stata impostata in maniera tradizionale e secondo un impegno casa per casa dei candidati. In pratica, spiega il professore “la fiducia, che può essere la risultante di un rapporto clientelare o, semplicemente, la simpatia per un candidato, nel criterio di scelta dell’elettore vale molto di più dei programmi e dei giudizi sulla politica, sulle politiche, sui partiti”.

Tutto ciò, continua De Luca, riguarda indistintamente tutte liste: “se l’indice di preferenza, che rileva l’utilizzo del voto alla persona, è più basso è solo perché la lista stessa non aveva molti candidati radicati sul territorio”. Inoltre, la capacità organizzativa dei partiti è chiaramente visibile, spiega De Luca, su un’analisi approfondita comune per comune delle preferenze, che mostrano in maniera molto logica il legame tra votanti e votato.

Radicamento territoriale unito ad una capacità di organizzazione promossa dai candidati rappresentano, dunque, le caratteristiche principali della Basilicata, che rappresenta, quindi, una particolarità nel panorama del comportamento di voto del Mezzogiorno italiano.




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