Elezioni Umbria 2019: una radiografia elettorale della Regione



Quinto e probabilmente ultimo banco di prova per questo intenso 2019 saranno le elezioni regionali dell'Umbria. Una tornata che arriva con qualche mese di anticipo dalla scadenza naturale del mandato, dopo le dimissioni della presidente Catiuscia Marini, e che potrebbe segnare una svolta rispetto al passato.

Da tradizionale feudo della sinistra, che qui governa ininterrottamente dal 1970, l'Umbria potrebbe infatti vedere un cambio ai vertici o, comunque, potrebbe rappresentare la base di un nuovo esperimento politico in cui forze tradizionalmente avversarie si sono accordate con una alleanza civica. Senza dimenticare che, a poco più di due mesi dall'entrata in carica del governo Conte II, per la nuova maggioranza è il primo test elettorale.

Viste le premesse, non si poteva non partire per questo breve viaggio nell'Umbria al voto. In attesa dei risultati, parleremo della storia elettorale della Regione, focalizzandosi sulle ultime cinque tornate regionali. La prima domanda è quella che ci poniamo di solito: qual è il colore politico dell'Umbria?

➧ Il colore politico dell'Umbria

Per rispondere alla domanda, l'approccio è duplice: da un lato una analisi delle amministrazioni che si sono succedute; dall'altro uno studio dettagliato dei risultati elettorali regionali.

Cominciamo dal riepilogo dei presidenti che hanno guidato la Regione dal 1995 ad oggi, riportato nella tabella sottostante.

1995 - 2000 2000 - 2005
2005 - 2010
2010 - 2015 2015 - 2019
Bruno Bracalente Maria Rita Lorenzetti Catiuscia Marini

Dalla prima elezione diretta del governatore, l'Umbria ha sperimentato una notevole continuità: il presidente uscente si è ricandidato quasi sempre ottenendo una riconferma dai propri concittadini. L'unica eccezione è stata rappresentata proprio dal primo quinquennio, quando a governare la Regione è stato Bruno Bracalente, già preside della facoltà di Economia dell'Università di Perugia, che decise di non correre per un secondo mandato. 

In sua sostituzione, nel 2000, la maggioranza uscente scelse Maria Rita Lorenzetti, ex sindaco di Foligno e parlamentare dei Democratici di Sinistra, che divenne, dunque, la prima presidente donna direttamente eletta dai cittadini in Italia e la quinta in assoluto a governare una regione del Paese. La Lorenzetti venne riconfermata anche nella tornata elettorale del 2005 e avrebbe voluto candidarsi alla guida della Regione anche per un terzo mandato nel 2010 se non avesse ricevuto il veto del Partito Democratico, che optò per le elezioni primarie interne.

A spuntarla fu Catiuscia Marini, ex sindaco di Todi ed europarlamentare, che sconfisse il parlamentare Giampiero Bocci. Marini si aggiudicò con largo margine la corsa tutta al femminile del 2010, ottenendo il via libera dal proprio partito per una ricandidatura senza passare dalle primarie nel 2015. Proprio quest'ultima tornata elettorale ha, tuttavia, segnato una svolta rispetto al passato, con la governatrice uscente rimasta in sella dopo un lungo testa a testa con l'avversario di centrodestra nello spoglio.

Coalizione Voti %
Media Centro-sinistra   257 458   56,65%
Media Centro-destra   169 568   37,71%
Media voti validi  449 782

Al netto di questo risultato, però, il centrosinistra si mostra nettamente maggioritario: nelle cinque tornate elettorali occorse dal 1995, infatti, ha preso in media il 56,65% dei consensi contro il 37,71% del centrodestra. Un dato ancor più evidente se si considera anche la distribuzione territoriale del consenso.



In tutte le tornate elettorali, infatti, il candidato presidente di centrosinistra è stato maggioritario in tutte e due le province. I dati, in particolare, sono uniformi e presentano una correlazione con l'affluenza: meno si vota più l'aspirante governatore progressista guadagna consensi. Fatta eccezione per il 2015, poi, per il centrodestra è stato praticamente impossibile poter entrare in partita. Di ciò si trova riscontro anche  in una analisi più dettagliata del voto sul territorio.


Dei 92 comuni della regione, infatti, solamente in 12 il candidato di centrodestra risulta essere maggioritario, contro gli 80 dell'aspirante governatore di centrosinistra. Quello verso i progressisti, però, è un consenso circoscritto sostanzialmente a tre aree: l'Eugubino, l'Alta Valle del Tevere e la parte occidentale della Regione confinante con la Toscana rappresentano, infatti, le zone in cui il candidato presidente del centrosinistra è in grado di fare performance migliori rispetto al consenso medio regionale.

Nella parte centrale ed orientale (storicamente meno propensa ad esprimere un voto di sinistra), così come nella gran parte dei comuni più popolosi, questi risulta essere sempre maggioritario, ma con prestazioni più opache ed inferiori alla percentuale media raccolta in tutta la Regione.

➧ Un sistema chiuso

Quanto detto fin qui ci consente, dunque, di pensare all'Umbria come un feudo rosso caratterizzato da un sistema sostanzialmente chiuso, in cui il partito o i partiti espressione della cultura politica di sinistra - così come avviene nelle altre limitrofe regioni rosse - giocano un ruolo fondamentale nel rendere la partita non competitiva. A suffragare questa conclusione sono tanto i dati elettorali quanto la struttura e l'evoluzione del sistema politico umbro.

Analizziamo, quindi, il consenso ai partiti d'area comunista. L'immagine riporta le percentuali destinate agli eredi del Partito Comunista Italiano nelle cinque tornate regionali. 

Fonte: Ministero dell'Interno

Come già avveniva ai tempi di Botteghe Oscure, anche dopo la Svolta della Bolognina, più di quattro elettori umbri su dieci danno la loro preferenza ad un partito che si richiama all'ex PCI. Nel 1995, addirittura, PDS e Rifondazione Comunista arrivano a raccogliere quasi la maggioranza assoluta dei consensi, mentre nel 2005, gli Uniti nell'Ulivo (in cui, a dire il vero, sono confluite anche la Margherita di estrazione democristiana e lo SDI di matrice socialista), con Rifondazione Comunista e Comunisti Italiani toccano il consenso record del 60% dei suffragi.

È vero, però, che i voti una volta raccolti da un solo attore, oggi vengono guadagnati da più formazioni: due nel 1995, tre nel 2000, 2005 e 2010, quattro nel 2015. Il che richiama la necessità di verificare l'esistenza di specifici rapporti di forza all'interno di questa stessa area. Restringiamo, così l'analisi, al principale degli epigoni del PCI, ossia il Partito Democratico della Sinistra e tutte le sue declinazioni successive.
Fonte: Ministero dell'Interno
Come si può notare, anche in questo caso, sono quasi quattro elettori su dieci indirizzano il proprio voto verso la Quercia ed i suoi successori. Più nel dettaglio, nel 2000 - anno in cui il centrosinistra è andato male alle regionali - i Democratici di Sinistra toccano il minimo storico (32%), mentre nel 2005, quando però si presenta il cartello di Uniti nell'Ulivo (in cui erano confluiti anche lo SDI e La Margherita), arriva al 45% dei consensi.

Rapportato agli altri attori dell'ex area PCI, si tratta di un consenso schiacciante: rappresentava il 77,8% dei voti destinato a questo spazio politico nel 1995, il 74,4% nel 2000, il 75,5% nel 2005, il 77,9% nel 2010 e l'89,0% nel 2015.

Il solo Partito Democratico della Sinistra - così come tutte le sue declinazioni successive - ha avuto un ruolo, dunque, fondamentale nell'economia elettorale della regione, dimostrando una sostanziale tenuta rispetto ai cambiamenti dello scenario politico. Di ciò si ha anche una riprova analizzando gli indici che più strettamente si correlano all'analisi della struttura e dell'evoluzione del sistema politico locale.

Elaborazioni su dati del Ministero dell'Interno
Come mostra la grafica, infatti, il sistema politico umbro è particolarmente chiuso, in cui solo pochi attori hanno voce in capitolo. Ciò è evidente già guardando l'indice di bipolarismo e quello di bipartitismo. In entrambi i casi, i valori registrati in Umbria, sono superiori alla media nazionale, con i primi due partiti che ancora oggi in grado di catalizzare in ciascuna tornata elettorale più della maggioranza assoluta dei voti.



A confermare la chiusura del sistema umbro sono anche i bassi valori registrati dall'indice di Laasko-Tagepera, che misura il numero effettivo di partiti, indipendentemente da quante liste si presentano in ciascuna tornata. In media, infatti, sono 4,7 i partiti effettivi a fronte di 11 liste che concorrono di norma per il Consiglio regionale. 

➧ Un voto "di appartenenza"

Quanto detto fin qui, consente anche di definire la tipologia di elettorato umbro, rifacendoci alla tradizionale classificazione degli elettori di Arturo Parisi e Gianfranco Pasquino. Come avviene nelle regioni rosse, dunque, è il senso di appartenenza ad un partito a determinare l'orientamento di voto dell'elettorato umbro.

Ciò implica, come abbiamo già visto, una capacità del partito di riferimento a fare da effetto traino sul candidato presidente, con due conseguenze: una scarsa personalizzazione della competizione ed una scarsa attrattività rispetto all'avversario. Un buon modo per capire se ciò avvenga in Umbria è analizzare i voti destinati ai soli candidati presidente.


L'infografica sopra riportata mostra proprio questo. Fatta eccezione per le elezioni regionali del 2005, i candidati di centrodestra riescono a personalizzare la competizione. Stando all'indice elaborato da Legnante e Baldini, infatti, il rapporto tra voti totali complessivi e i voti guadagnati dalla coalizione è di gran lunga maggiore nel Polo che nell'Ulivo.

I cui candidati sono in difficoltà anche nel caso sulla competitività: anche in questa circostanza, i progressisti riescono a far veicolare verso di sé una quota bassa dei voti complessivi indirizzati ai soli aspiranti governatori.

In un sistema elettorale fondato sul voto di appartenenza, però, la quota di voti validi destinata ai candidati presidenti è sostanzialmente bassa. Nell'infografica che segue cerchiamo di capire proprio questo.



I dati riportati ci consentono di smentire l'ipotesi che il voto umbro sia strettamente di "opinione". Nel polmone verde d'Italia essa ammonta in media al 6,93% contro il 10,5% della media italiana. In particolare, in Umbria questo valore è addirittura inferiore a quello registrato nelle altre regioni rosse ed è maggiore solo a quello riscontrato nelle regioni meridionali.

Queste ultime, tuttavia, si distinguono dal polmone verde d'Italia per l'alto tasso di preferenza espresso nei confronti dei candidati per il Consiglio regionale. Un elemento che, secondo Parisi e Pasquino, dà fondamento alla categoria definita "voto di scambio" che, è bene sottolinearlo, non ha nulla a che vedere con questa pratica illecita.


In media, infatti, il tasso di preferenza espresso nei confronti dei candidati consiglieri regionali è del 43,8%. Un dato, quest'ultimo, che vede l'Umbria distanziarsi ampiamente dalle regioni meridionali, pur con valori più alti delle regioni rosse e del nord.

➧ Cosa concludere?

Quanto detto fino ad adesso ci consente, dunque, di confermare l'impressione iniziale, individuata attraverso lo studio dei risultati elettorali e della continuità amministrativa regionale. Fino al 2015, l'Umbria è stata caratterizzata da un sistema politico sostanzialmente chiuso: presentava, infatti, un ampio indice di bipolarismo e bipartitismo, a cui fa da contraltare il basso numero di partiti effettivi in grado di contare a livello regionale.

La chiusura di questo sistema vede il Partito Democratico della Sinistra e le sue declinazioni successive come i veri e propri successori del Partito Comunista Italiano, riuscendo a far mantenere  agli elettori un senso di appartenenza alla subcultura politica creata durante la prima Repubblica. Non è un caso che ancora oggi, la Quercia ed i suoi epigoni ottengano il favore di quattro umbri su dieci, giocando un effetto traino sull'intero centrosinistra. I candidati presidente di questa coalizione, infatti, fanno fatica a reggere il confronto con gli avversari in termini di competitività e capacità attrattiva.

Dati, questi ultimi, più tipici di un voto d'opinione che, però, in Umbria, trova largo spazio: i voti ai soli candidati presidente, infatti, rappresentano poco più del 6% dei voti validi espressi in ciascuna tornata. Parimenti, anche la personalizzazione da parte dei candidati al consiglio regionale è di gran lunga differente rispetto a quella che viene esercitata nelle regioni del Sud.

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