Nonostante sia solamente la settima regione più popolata d'Italia e non figuri nemmeno tra le più ricche del Paese, il Piemonte e le sue elezioni regionali sono stati al centro dell'interesse dei partiti da sempre. Vincere qui, infatti, equivale a ribadire uno status per ciascuno degli attori in campo.
Per il centrosinistra, infatti, vuol dire essere presenti e competitivi anche nel Nord Italia. Viceversa, per il centrodestra significa rafforzare la propria leadership e la capacità di estendere largamente per tutto il settentrione la propria sfera di influenza, che trova nelle vicine Veneto e Lombardia due roccaforti per il momento non ancora espugnate.
Anche oggi, la necessità di ribadire lo status per le coalizioni in campo è più che mai attuale. Per il centrodestra a trazione leghista, infatti, una vittoria in Piemonte vorrebbe dire governare il Nord inlungo e in largo. Sarebbe, dunque, il coronamento di un sogno e di una missione, cominciata nel 2015 con Veneto e Liguria e culminata con la storica vittoria di Maurizio Fugatti nel Trentino, lo scorso ottobre.
Per il centrosinistra, invece, vincere nella regione sabauda non significherebbe solo la resistenza dell'ultimo baluardo dall'invasione degli avversari. Vorrebbe dire confermare una esperienza di governo collaudata su cui democratici ed alleati si sono spesi ampiamente. Al punto da riproporre come candidato presidente l'uscente Sergio Chiamparino. È la prima volta che accade da un anno e mezzo a questa parte, dopo ben sette tornate regionali. All'epoca, la scommessa sull'incumbent venne vinta: Nicola Zingaretti (oggi segretario dei Dem) è riuscito a riconfermarsi alla presidenza del Lazio, rompendo una alternanza che durava sin dal 1995.
Per tutti questi motivi, vogliamo studiare la competizione piemontese da un altro punto di vista: quello che cerca di trarre conclusioni a partire da uno storico delle elezioni regionali. Cominceremo dalla solita domanda di routine: qual è il colore politico?
➧ Il colore politico della Regione
Per rispondere al quesito, considereremo due prospettive. La prima riguarda la continuità nel governo. Nella tabella che segue, abbiamo riepilogato i presidenti della Regione dal 1995, anno in cui si sono svolte le prime elezioni dirette del Presidente.
| 1995 - 2000 | 2000 - 2005 |
2005 - 2010
|
2010 - 2014 | 2014 - 2019 |
| Enzo Ghigo | Mercedes Bresso | Roberto Cota* | Sergio Chiamparino | |
| * Nel 2014 il Consiglio di Stato annulla il verbale degli eletti, disponendo nuove elezioni regionali. | ||||
Come possiamo notare, solo in origine, c'è stata continuità. Il forzista Enzo Ghigo, infatti, vince due elezioni di fila. La prima, in cui a sostenerlo c'era il Polo ma non la Lega, nel 1995 contro Giuseppe Pichetto sostenuto da un centrosinistra privo di Rifondazione Comunista. La seconda nel 2000, quando con poco più del 51% dei suffragi sconfigge l'ulivista Livia Turco, pezzo da novanta dei Democratici di Sinistra, e la radicale Emma Bonino, ferma a quota 5%.
Ma perde la terza. Ripresentatosi nel 2005, Ghigo viene battuto da Mercedes Bresso, esponente dei Democratici di Sinistra, proposta dall'Unione. La ex presidente della provincia di Torino si impone con poco più del 50%, divenendo la prima governatice donna della Regione. Bresso si ricandida anche nel 2010, con una coalizione allargata all'Unione di Centro, ma viene sconfitta dal leghista Roberto Cota dopo un estenuante testa a testa. Diecimila i voti che, a scrutinio terminato, separavano i due candidati e che sono stati al centro di una vicenda giudiziaria che ha portato, nel 2014, all'annullamento della tornata regionale.
Così, nel 2014, il centrosinistra è ritornato al governo della Regione, con l'ex sindaco di Torino Sergio Chiamparino, che ha sbaragliato la concorrenza di un centrodestra diviso in tre e del Movimento Cinque Stelle.
Anche secondo la prospettiva del tipo di competizione elettorale, la sfida Piemontese si mostra tutt'altro che scontata. A confermarlo è la tabella sottostante, nella quale si riportano la media dei voti raccolti dalle due coalizioni principali in tutte le tornate occorse dal 1995 ad oggi e quella dei voti validi totali
Anche secondo la prospettiva del tipo di competizione elettorale, la sfida Piemontese si mostra tutt'altro che scontata. A confermarlo è la tabella sottostante, nella quale si riportano la media dei voti raccolti dalle due coalizioni principali in tutte le tornate occorse dal 1995 ad oggi e quella dei voti validi totali
| Coalizione | Voti | % | |
|---|---|---|---|
| Media Centro-sinistra | 1 045 170 | 43,61% | |
| Media Centro-destra | 1 000 767 | 41,76% | |
| Media voti validi | 2 396 742 | ||
Il centrosinistra è in vantaggio, ma si tratta di uno scarto marginale: i progressisti superano il centrodestra per appena l'1,85% e circa 45mila voti.
Coalizione
|
1995 | 2000 | 2005 | 2010 | 2014 | |
| Centro-sinistra | 35,16 | 39,49 | 50,91 | 46,91 | 47,09 | |
| Centro-destra | 39,70 | 51,78 | 47,05 | 47,33 | 22,10 | |
Differenza
|
4,54 | 12,29 | 3,86 | 0,42 | 24,99 | |
Come dimostrato dalla tabella qui sopra, nella quale si riportano le % ottenute da centrosinistra e centrodestra in ciascuna tornata elettorale, le due coalizioni si trovano molto spesso appaiate. In tre occasioni su cinque (1995, 2005 e 2010), infatti, lo scarto tra primo e secondo è inferiore al 5%.
Nelle restanti due (2000 e 2014), la forbice così ampia può esser giustificata con una maggiore destrutturazione della coalizione perdente. Livia Turco, infatti, subisce la concorrenza della radicale (e futura alleata di governo) Emma Bonino, che arriva al 5% dei voti, mentre Enrico Costa e Guido Crosetto tolgono a Gilberto Pichetto Fratin complessivamente l'8% dei consensi.
Al di là della destrutturazione, però, quali aspetti contribuiscono effettivamente a rendere instabile la competizione elettorale del Piemonte?
➧ Una regione di elettori d'opinione
Partiamo dal ruolo che riveste la personalizzazione della campagna elettorale che si lega inesorabilmente ai tre tipi di elettorati di cui, a lungo, hanno parlato Gianfranco Pasquino e Arturo Parisi.
Ci sono, infatti, gli elettori del "voto d'opinione", in cui contano più il candidato presidente ed il programma che le liste in suo sostegno; ci sono, poi, quelli del "voto d'appartenenza", in cui a dominare la scena è un partito in particolare; quindi, ci sono quelle del "voto di scambio", in cui la personalizzazione si lega inesorabilmente ai candidati per il consiglio regionale e alla loro capacità di raccogliere preferenze sul territorio. A quest'ultima categoria, abbiamo avuto modo di vedere, apparteneva la Basilicata. Che tipo di regione è il Piemonte, invece?
Per rispondere, prendiamo spunto innanzitutto da una elaborazione dati dell'Istituto Cattaneo che ha calcolato per ciascuna regione il tasso di preferenza verso i consiglieri regionali:
Sicuramente i piemontesi non appartengono alla categoria del "voto di scambio", in quanto i tassi di preferenza riscontrati sono tra i più bassi d'Italia. Al massimo, infatti, solo quattro elettori su dieci indicano un candidato per consiglio regionale, tornando a livelli da Prima Repubblica nel 2014.
La competizione così serrata tra coalizioni rende, poi, flebile anche l'ipotesi per cui ci sia un "voto di appartenenza", legato all'egemonia di uno specifico partito. Per non tralasciare nulla al caso, però, vediamo quanto hanno guadagnato le due principali formazioni delle due principali coalizioni.
Ci sono, infatti, gli elettori del "voto d'opinione", in cui contano più il candidato presidente ed il programma che le liste in suo sostegno; ci sono, poi, quelli del "voto d'appartenenza", in cui a dominare la scena è un partito in particolare; quindi, ci sono quelle del "voto di scambio", in cui la personalizzazione si lega inesorabilmente ai candidati per il consiglio regionale e alla loro capacità di raccogliere preferenze sul territorio. A quest'ultima categoria, abbiamo avuto modo di vedere, apparteneva la Basilicata. Che tipo di regione è il Piemonte, invece?
Per rispondere, prendiamo spunto innanzitutto da una elaborazione dati dell'Istituto Cattaneo che ha calcolato per ciascuna regione il tasso di preferenza verso i consiglieri regionali:
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| Tratto dal Quaderno elettorale della Regione Abruzzo |
Sicuramente i piemontesi non appartengono alla categoria del "voto di scambio", in quanto i tassi di preferenza riscontrati sono tra i più bassi d'Italia. Al massimo, infatti, solo quattro elettori su dieci indicano un candidato per consiglio regionale, tornando a livelli da Prima Repubblica nel 2014.
La competizione così serrata tra coalizioni rende, poi, flebile anche l'ipotesi per cui ci sia un "voto di appartenenza", legato all'egemonia di uno specifico partito. Per non tralasciare nulla al caso, però, vediamo quanto hanno guadagnato le due principali formazioni delle due principali coalizioni.
Partito
|
1995 | 2000 | 2005 | 2010 | 2014 | |
| PDS/DS/PD | 21,73 | 17,72 | 20,10 | 23,21 | 36,17 | |
| FI/PDL | 26,71 | 30,78 | 22,36 | 25,05 | 15,54 | |
Nessuna delle due formazioni rappresenta più di un elettore su tre, fatto salvo il caso delle elezioni del 2014, quando il Partito Democratico raccoglie il 36,17% dei voti. Tuttavia, qui, è più facile pensare che vi sia stata una influenza delle elezioni europee e dello storico risultato ottenuto dai dem in questa circostanza.
Non ci resta che considerare l'idea di un elettorato d'opinione. Il che dovrebbe far maggiormente propendere per uno spiccato consenso destinato verso i candidati presidenti. Le elaborazioni sono contenute nella tabella che segue:
Coalizione
|
1995 | 2000 | 2005 | 2010 | 2014 | |
| Centro-sinistra | 143 502 | 182 076 | 204 969 | 133 452 | 126 130 | |
| Centro-destra | 159 229 | 110 453 | 137 785 | 153 359 | 16 704 | |
Voti validi al solo presidente
|
466 586 (17,48%) |
377 140 (15,62%) |
363 251 (15,07%) |
310 278 (14,07%) |
296 715 (13,33%) | |
I dati dimostrano che, effettivamente, una buona fetta di voti sono indirizzati al solo candidato governatore. Anche se la tendenza è al ribasso: si passa, infatti, dal 17% di preferenze valide espressi verso il solo presidente del 1995 al 13,33% del 2014. È difficile, poi, dire quale delle due coalizioni possa giovare costantemente di questo effetto perché non sempre la bilancia pende da una sola parte.
Nel 2000, 2005 e 2014, infatti, è il centrosinistra a beneficiarne maggiormente, mentre nelle elezioni con il risultato più in bilico (1995 e 2010), è il centrodestra a fare maggiore incetta di voti. La capacità del candidato di attrarre più voti della sua coalizione, poi, è sta diventando sempre più un punto di forza anche del Movimento Cinque Stelle. Ciò è particolarmente evidente per ciò che concerne l'indice di personalizzazione di Baldini e Legnante che consiste nel rapporto tra il voto al presidente e voto alle liste meno un'unità. Nel 2010, infatti, Davide Bono aveva fatto registrare un valore di 0,29 contro lo 0,17 di Cota e lo 0,14 di Bresso. Quattro anni dopo, il pentastellato supera nuovamente Chiamparino (0,13) e Pichetto (0,03).
➧ Una frattura territoriale
Così come la personalizzazione del voto, contribuisce a rendere particolarmente incerta la competizione piemontese anche la particolare distribuzione dell'elettorato. Come avviene anche in altre regioni - Lazio in testa - anche in Piemonte il voto risente della frattura città-campagna. Con le forze progressiste più avvantaggiate nei contesti urbani ed industriali e quelle moderate nelle aree rurali e di montagna.
Lo dimostra in maniera abbastanza chiara l'immagine che segue:
Su 1197 comuni, infatti, in poco più di 900 risulta essere maggioritario il centrodestra, che va molto forte soprattutto nell'area nord-orientale della Regione. Al contrario, il centrosinistra appare asserragliato in poche e circoscritte aree: l'appennino ligure, le valli Pellice e Chisone nonché la cintura torinese con il capoluogo. Tutte zone, queste ultime, che fanno parte della Città metropolitana di Torino, nella quale vive il 50% dell'elettorato della regione.
In pratica, al centrosinistra basta una brillante performance in questa zona ed un leggero vantaggio ad Alessandria per poter rientrare in partita ed, eventualmente, vincere le elezioni regionali. Anche se, dal 2014, sono stati osservati alcuni cambiamenti, come sottolinea YouTrend. In quest'ultima tornata elettorale, infatti, il centrosinistra si è aggiudicato la maggioranza in tutte le province, con risultati molto positivi ad Asti e a Cuneo che, dunque, dovranno essere tenute sotto osservazione, così come la Val di Susa, in cui il movimento No Tav spinge per un consenso verso il Movimento Cinque Stelle.
➧ Cosa concludere?
Cosa concludere, dunque, delle elezioni regionali in Piemonte? Innanzitutto che è una sfida a cui i partiti guardano perché simbolo di un rafforzamento della propria presenza nello scacchiere del Nord Italia. Parliamo di una sfida avvincente e senza esclusione di colpi, in cui sono sostanzialmente due i fattori fondamentali.
La personalizzazione che i candidati presidente danno alla partita, da un lato, la polarizzazione degli equilibri territoriali tra città e campagna, dall'altro. Parliamo di ambiti in cui non esiste una tendenza precisa, che, dunque, alimenta questo scontro all'ultima scheda.


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